Bibbona

Si racconta che Bibbona fosse uno dei castelli più forti della Maremma, cinto da mura turrite e difeso da un profondo fosso. Ancora evidente è la sua dimensione di fortezza abitata, costruita su un basso colle.

Così appare inoltrandosi nel dedalo di vicoli d’impianto medievale, nel quale emergono tipologie edilizie di epoche diverse e la chiesa di San Ilario dell’XI secolo.

Evidenti anche i legami con l’agricoltura di un castello nel quale, secondo uno statuto del 1400, i capo famiglia erano tenuti a piantare ogni anno almeno un olivo e due alberi da frutto ed anche a fare l’orto.

Poco fuori l’ingresso del castello uno dei vanti di Bibbona: la bella chiesa rinascimentale Santa Maria della Pietà, costruita alla fine del 400 su progetto di Vittorio Ghilberti, figlio di Lorenzo. 

Chiesa di S. Ilario

Sulla facciata si apre una porta conclusa in alto dall’architrave. A fianco dell’ingresso si trova una lapide commemorativa. Nei lati sono presenti finestre e finte bifore in legno. Il campanile si erge addossato al lato destro. La Chiesa confina a sinistra con via Roma e a destra con via Vittorio Veneto.

Palazzo Gardini

Presenta una facciata rifinita con intonaco,e da due ordini di finestre inquadrate in una cornice liscia di pietra serena,la stessa che perimetra il portone e sulla quale c’è lo stemma con una torre nel campo.

Comune Vecchio

L’edificio ha costituito la sede dell’autorità giuridica e in seguito svolse la funzione di comune

Chiesa S. Giuseppe

Sulla facciata di questa Chiesa si apre il portale di ingresso sopra al quale si nota una lastra con uno stemma e un piccolo rosone,e sul lato ci sono tracce di aperture ora murate.

Oratorio di S. Niccolò

Il portone di entrata a i semi pilastri laterali e la finestra in alto non presentente nelle altre Chiese del posto.

Chiesa di S.Maria della Pietà

L’articolazione architettonica e decorativa è mostrata dalla facciata principale che si caratterizza per la presenza di un semplice rosone. Poi questa Chiesa presenta un piccolo campanile.

 

PERIODO ETRUSCO

I primi insediamenti etrusco-villanoviani che si svilupparono in Toscana tra il X e IIX sec. a.C. sono stati riportati alla luce in parte sul territorio di Bibbona.

Molti reperti ritrovati sono soprattutto tombe infatti gli etruschi essendo molto religiosi davano importanza alla morte e al passaggio dell’aldilà.

Per questo rendevano le loro tombe delle vere e proprie dimore, collocandoci tutti gli oggetti appartenuti al defunto che potevano essere utili nella vita futura. Per la ricchezza dei reperti ritrovati,possiamo dire che nel VI VII sec. gli Etruschi entrarono in contatto con la civiltà greca. Ne sono testimonianza le tombe dei principi guerrieri risalenti al periodo orientalizzante. I monaci e gli oggetti preziosi ritrovati nelle tombe testimoniano l’abilità degli etruschi nella lavorazione dei vari metalli tra cui l’oro. Nella zona,l’attività orafa e siderurgica si sviluppò a Populonia, dove la necropoli fu attiva fino al I sec. a.C. quando tutto il territorio fu conquistato dai romani.

Sulla roccia di tufo rossastro, conchigliare, assai compatto, di origine terziaria, nacque Bibbona, posta a 80 m. sul livello del mare, a sud del fiume Cecina, a 7 km dalla costa. Lo stesso nome lascia intuire, in seguito a varie trasformazioni, la sua origine etrusca : VIPI, VIVIPI, VIPINA, VIPUNA, VIBONA, BIBONA.

La nascita di questo piccolo villaggio risale probabilmente all’VIII sec. a.C. (periodo etrusco-villanoviano ), così come quelli di Montescudaio e di Casale, costituiti da capanne, i cui abitanti vivevano cacciando, coltivando e allevando, come testimonia il ritrovamento di una notevole quantità di utensili e piccoli bronzetti ritrovati in una stipe votiva.

Intanto nella zona, il villaggio di VELHATRI (Volterra) diventava sempre più importante, grazie allo sviluppo delle varie attività agricole-artigianali ed agli scambi commerciali, insieme ai quali arrivarono dalla costa influssi orientali (greci).

Dall’VIII al VI sec. a.C., riguardo ai reperti ritrovati come gioielli, oggetti di lusso per banchetti, armi, asce in bronzo, appartenute ai così detti “Principi guerrieri”, si parla di periodo orientalizzante, in quanto nella zona operarono su ordinazione alcuni artisti greci, che vennero poi imitati da quelli del luogo.

Con lo sviluppo di Volterra, si verificò anche la nascita di famiglie aristocratiche che ebbero il controllo del territorio in quanto queste si trasferirono nei villaggi ed alcuni membri divennero “Capi-villaggio” o “Principi guerrieri”, poichè cominciarono a controllare sia l’economia che l’organizzazione difensiva.

I Principi si distinguevano dal popolo perché avevano il possesso delle armi e alla morte venivano sepolti in tombe monumentali, corredate di oggetti preziosi e finemente lavorati alla maniera orientale .

Tutti i reperti sono oggi visibili nel Museo Archeologico di Firenze, così come uno dei pezzi più belli della scultura bronzea, il “caprone di Bibbona”, forse il manico (ansa) di un vaso databile al V sec. a.C.

Non sappiamo con certezza il luogo esatto del suo ritrovamento, probabilmente proviene da una delle tombe a tholos (a ipogeo) ritrovate in prossimità della fattoria “La Ghinchia” (sulla via Aurelia tra La California e Cecina).

Queste tombe sono contemporanee a quelle ” a tholos” ritrovate a Casale e a Casaglia risalenti al V sec. a.C.

La tomba di Casale è stata trasferita e ricostruita nel Museo Archeologico di Firenze , mentre quella di Casaglia, nel giardino dell’Ufficio Tecnico di Cecina. Alcuni reperti, come urne cinerarie, contenenti ancora le ceneri dei defunti, sono conservati nel museo Guarnacci di Volterra.

Ancora a Bibbona, lungo la “Via delle macine”, (così chiamata perché in passato vi era un mulino) in prossimità del centro storico, è stata ritrovata, anche se mal conservata, una tomba rupestre.

La struttura di questo tipo particolare di tomba è molto meglio visibile ed apprezzabile nella necropoli di Norchia (Tarquinia) e di Sovana (Grosseto).

Altre tombe, questa volta “a camera a ipogeo”, scavate nella roccia si possono vedere ancora in Via delle macine e lungo quella che da Bibbona conduce a Casale; queste oggi sono semplicemente delle grotte, chiamate “nicchioni”, mal conservate ed in parte distrutte, quando fu allargata la strada, per cui delle dodici ritrovate se ne possono riconoscere solo quattro.

Questo tipo di tomba, molto meglio conservata, è visibile nei boschi di Buche delle Fate, a Populonia.

Nella zona tra Bibbona e Casale sono stati ritrovati dei frammenti di vasi in ceramica verniciata di nero (oinochai – olpai), e un bronzo raffigurante una testa di Gorgone, databili tra il IV e II sec. a.C., infatti a quel tempo vi si trovava l’abitato etrusco di Casalvecchio e la sottostante necropoli di Casanocera, da cui provengono i numerosi resti delle tombe dei Principi guerrieri, così dette perché la ricchezza dell’arredo funebre ha fatto pensare a tombe nobiliari.

Tra gli oggetti più belli e meglio conservati vi è un elmo ed un’ascia in bronzo (il bronzo per gli Etruschi era simbolo di ricchezza e l’ascia di potere), questi erano indubbiamente ornamenti funebri, non adatti al combattimento, inoltre l’ascia era arricchita da paperelle stilizzate infisse nel manico di legno (elementi ornamentali orientalizzanti).

Sono stati rinvenuti anche altri oggetti come una collana in avorio (VIII sec. a.C.) con un pendaglio raffigurante una scimmietta che mangia una noce di cocco, una borraccia con dei pendenti in bronzo, una fibula a forma di cavallo ritrovata in una sepoltura femminile (VII sec. a.C.).

Della zona di Montescudaio è il vaso cinerario (o ossuario) del VII sec. a.C. ritrovato in una tomba a pozzetto; in passato la base era stata restaurata in modo improprio per cui in seguito è stata tolta; invece il coperchio, a forma di scodella rovesciata, è abbastanza ben conservato e riproduce la scena di un banchetto funebre: seduto su di un trono (lo schienale è andato distrutto) è raffigurato il morto davanti a un tavolo con tre gambe (zampe di leone), sul tavolo si possono riconoscere pagnotte di pane e formaggio, dall’altro lato del tavolo vi è una donna in piedi (più bassa però del defunto per indicare la sua sudditanza) con le braccia in alto per sorreggere un ventaglio o benedire la tavola.

La donna ha i capelli raccolti in una treccia (la treccia poteva essere un’acconciatura anche maschile ma solo per i nobili); accanto al tavolo vi è un grosso vaso “cratere”dove veniva mescolato il vino e l’acqua secondo l’uso greco, dall’altra parte del tavolo si vede la base di un altro cratere, andato distrutto.

Il morto è seduto a tavola, secondo la più antica tradizione etrusca, infatti nel VII sec. a.C. non era ancora stata assimilata l’usanza greca di mangiare sdraiati su di un divano “triclino”, come avverrà più tardi, abitudine testimoniata anche dalle urne cinerarie ritrovate.

Il vaso ha una sola ansa, ornata da un personaggio seduto con le mani sulle ginocchia (gesto di tristezza), questa figura dolente poteva essere un parente o il morto stesso.

Nel V sec. a.C. nel territorio, sulle alture che separano la valle del Cecina da quella dell’Era, il villaggio di Volterra, divenne una delle principali città-stato dove si andarono affermando numerose famiglie aristocratiche, questo però comportò lo spopolamento, la perdita di importanza e di autonomia degli altri villaggi della Val di Cecina come Casale, Casaglia e Bibbona.

Nel IV e fino al II sec. a.C. si ebbe una ripresa degli insediamenti rurali sparsi, seguita però da una nuova crisi demografica della quale non sappiamo con certezza la causa, probabilmente vi concorse l’allargarsi dell’area paludosa e malarica delle pianure circostanti.

PERIODO ROMANO

Sempre nella zona della Val di Cecina,sono stati trovati dei reperti del successivo “periodo romano”, sono frammenti di ceramica sia liscia che decorata a rilievo, fibule a cerniera, fondi di coppe databili al 1° sec. d.C. segno dell’esistenza di stanziamenti umani specialmente nelle ville rustiche costruite nel territorio lungo il fiume Cecina.

Queste erano vere e proprie fattorie dove gli schiavi lavoravano per la produzione di viti, olivi, alberi da frutta ed i raccolti che erano abbondanti non servivano solo per il consumo immediato, ma anche per il commercio dei prodotti basilari per la ricca economia dell’Impero romano.

Verso la fine del III sec.d.C. iniziò però un lento abbandono delle ville che continuò per tutto il IV e V sec.d.C. fino al quasi totale spopolamento del territorio.

Sempre nella zona sono state rinvenute inoltre numerose tombe romane del tipo “alla cappuccina “, la più antica è quella di Belora Bassa (Riparbella) del I sec. d.C. dove è stata ritrovata una lucerna e quattro balsamari di vetro, in altre sono state ritrovate urne cinerarie in tufo ed in alabastro. Sempre del I e II sec.d.C è la necropoli in località CAMPO AI CIOTTOLI nel comune di Cecina, risalenti anche queste al 1° e 2° sec. d.C.

Sono stati ritrovati inoltre, nel tratto di mare antistante la foce del Cecina, considerato il porto di Volterra, e lungo il litorale di Vada, dei reperti subacquei che testimoniano l’esistenza di scali portuali o punti di sosta sulle rotte tirreniche; importante ritrovamento è stato un relitto carico di anfore, una macina in pietra e due ceppi d’ancora in piombo.

Sulla costa si trovavano anche delle saline e delle fabbriche di laterizi, per cui tutta la zona, ricca di opportunità, attirò molti abitanti che si stabilirono dal litorale fino alle località più interne di Linaglia e Paratino, e tutto il territorio fu un nodo di intenso traffico commerciale.

Un grande numero di reperti, destinati ad aumentare, provengono dagli scavi della VILLA ROMANA DI SAN VINCENZINO identificata come quella di ALBINO CAECINA, situata a 2 km dalla costa su di una piccola altura a sinistra del fiume.

I CAECINA furono una famiglia importante, discendenti dai nobili Etruschi di Volterra, i KAIKNAS- CAETNA- CAEICNA – CAECINA che con l’avvento dei Romani latinizzarono il loro nome in CAECINA. Un membro di questa famiglia ci ha lasciato la traduzione di un testo etrusco di magia, dandoci così la possibilità di comprenderlo.

I reperti provenienti dalla villa testimoniano che questa ebbe un lungo periodo di attività: una moneta (asse) di Ottaviano, risale al 40 a.C., frammenti di coppe sono del I sec. a. C., altri di ceramiche sono invece del II sec. d.C., e ceramiche africane da cucina arrivano fino al V sec. d.C.

Gli scavi che iniziarono nel 1850 riportarono alla luce rivestimenti parietali e pavimentali in marmo bianco e policromo, inoltre un mosaico con figure geometriche, capitelli e basi di colonne, parti di stanze e vari busti.

La pianta della villa è quella tipica romana: un vasto atrio sulla facciata verso le colline, un impianto termale sul lato sinistro ( sud- ovest ), sul retro le stanze dei servi, i magazzini, e i depositi dell’olio. Delle terme sono stati scavati solo alcuni ambienti come le sale del CALIDARIUM, con l’annessa vasca semicircolare, dietro gli ambienti con le caldaie dette “CUCINE” e qui sono stati ritrovati fornelli e carbone, un altro scavo più ad est, riguarda forse il THEPIDARIUM dotato di una piscina rettangolare alla quale si accedeva mediante due gradoni, su di un lato dalle sale si apriva la palestra.

Vicino alla villa e probabilmente collegata ad essa per la fornitura dell’acqua , vi è un grande impianto idrico sotterraneo comprendente una cisterna, cunicoli e canali di raccolta che si sviluppano per altre 200 m .

Nella parte della villa adibita a magazzino, è emerso dagli scavi anche un cimitero paleocristiano risalente al V sec.d.C. infatti la villa come tutte le altre della zona, dopo lo spopolamento, in seguito alla decadenza del ricco sistema economico romano basato sulle ville rurali, crollò definitivamente con la caduta dell’Impero Romano (472 d.C.) e la popolazione si trasferì nelle città.

I pochi residenti rimasti sfruttarono il materiale edilizio della villa fino ad esaurimento, dopo la zona divenne un cimitero.

Fino ad ora sono state ritrovate ben 120 sepolture, ma ce ne dovrebbero essere molte altre, infatti questo di SAN VINCENZINO è ritenuto il più vasto cimitero paleocristiano di tutta la Toscana.

Le sepolture ritrovate sono tutte tombe a fossa, disposte in direzione est-ovest, molto semplici, dove il morto veniva deposto nudo o avvolto in un telo, senza alcun ornamento, per cui è stato piuttosto complesso risalire al periodo della sepoltura, comunque sappiamo che la tomba più recente risale all’alto medioevo (VIII sec.d.C.)

Per il terreno basico, molte sepolture si sono ben conservate e sono state estremamente utili per uno studio antropologico degli antichi abitanti, infatti dagli scheletri ritrovati sappiamo che la vita media del tempo era intorno ai 27-30 anni, le morti non erano per cause violente, ma per malattia esclusa però la malaria, come invece si sarebbe indotti a pensare; l’alimentazione era buona, ricca di cereali, frutta, olio e vino; poi con le prime infiltrazioni barbariche, dopo la caduta dell’Impero Romano, si arricchì notevolmente di carni ed in particolare di quella di maiale, animale questo che trovò un ambiente favorevole e un’alimentazione abbondante nei frutti delle querce e dei lecci delle macchie circostanti. 

 

PERIODO MEDIOEVALE

Nel territorio di Bibbona,fino al V sec. la popolazione era scarsa e dislocata in villaggi sparsi sulle alture, ma qualche villaggio sorse anche in pianura, in prossimità delle Pievi e delle principali vie di comunicazione (la via Aurelia, la via Emilia e la Volterrana).

Alcuni castelli sorsero poi sui preesistenti villaggi latini, mentre altri con funzione di presidi nacquero in luoghi elevati a guardia sia dei pirati provenienti dalla costa, che dei barbari stanziati nell’interno; da ricordare tra questi i castelli Riparbella, Montescudaio, Guardistallo, Bibbona e Bolgheri.

Contro i pirati turchi e saraceni furono costruite lungo il litorale diverse torri di avvistamento e di difesa, di queste oggi, anche se con numerosi rifacimenti, rimane il così detto FORTE DI BIBBONA .

Sul finire dell’VIII sec. gli ARIMANNI (piccoli proprietari terrieri longobardi con l’obbligo del servizio militare permanente) rafforzarono questi castelli ed inglobarono nelle proprietà i boschi, i pascoli, le terre vicine, dando così origine all’organizzazione feudale tipica di tutto il periodo.

Di Bibbona durante l’alto medioevo (700), abbiamo solo scarse e frammentarie notizie riguardo ad un piccolo centro abitato, vicino alla via Aurelia, di nome ASILACTUM da “asylum actae”cioè asilo del litorale, infatti vi era un ospedale (“asilo”) che era luogo di sosta e di rifugio per i pellegrini che percorrevano la zona.

Secondo altre fonti invece, l’insediamento si chiamò “AD SALATICUM” essendo in prossimità del mare e delle saline.

Per individuare Bibbona come castello ed avere le prime notizie dobbiamo arrivare fino al 1100: a la morfologia urbana del paese, anche ad un primo sguardo, ci dà subito l’immagine di un borgo medioevale racchiuso nell’antica cinta di mura, ad andamento irregolare che asseconda le curve di livello del terreno, purtroppo di questa oggi sono visibili solo alcuni tratti come il bastione emiciclico ed una torre.

Oltre la cinta muraria vi erano e vi sono dei fossati, il “Botro della Madonna” ed il “Botrello di Bacco”, destinati alla raccolta ed allo scorrimento delle acque.

Da un documento del 1872, sulla storia di Bibbona, curata dal canonico Righi, sappiamo che nell’VIII sec. il borgo sotto il dispotico dominio degli Arimanni dovette sopportare numerosi abusi ed a tale proposito viene ancora oggi ricordata la LEGGENDA DI AGILULFO, signorotto del luogo che abitava con i suoi soldati nella Torre della Mirandola, (oggi di questa sono rimasti solo dei blocchi squadrati di tufo conchigliare) posta non lontano dal paese in direzione della Macchia della Magona e a 2 km dall’attuale podere “Le Badie”, la cui casa colonica sorge sui resti del vecchio monastero del 700, ricordato con il nome di BADIA DI S.MARIA DEL MANSIO (mansio=fattoria) o anche BADIA DE’ MAGI.

Tutta la nostra zona , durante l’alto medioevo, fu sede di Monasteri e di Pievi (dal latino “plebs”=popolo, chiese per il popolo) delle quali rimangono scarsi resti in località Camposassino e Pievaccia.

Altre Pievi ed Ospizi per i pellegrini di passaggio sorsero a Linaglia, Paratino, Montalpruno e tutti fecero parte di un itinerario di fede, percorso parallelo alla più nota VIA FRANCIGENA o Romea, che proveniente dalla Francia arrivava fino a Roma e proseguiva in Terra Santa,

si trova su questo percorso anche la Pieve e HOSPITALE S. JOHANNIS DE BIBONA.

Intorno al 1000 Bibbona ed il territorio circostante furono di proprietà del Vescovo di Lucca che in seguito li concesse in enfiteusi ai conti Tedice e Ugo Della Gherardesca, famiglia che già aveva il controllo della zona.

Nel 1100 i Conti fecero edificare, nella parte più alta del borgo, il castello e nel 1175 la chiesa di Sant’Ilario.

Lungo le mura si trovavano tre torri difensive, di cui oggi possiamo vedere nella Piazza della Vittoria, l’unica rimasta, detta “La rocca”, questa costruita in tufo, fu inizialmente la torre principale “il Mastio”, l’abitazione fortificata dei Conti in caso di guerra, poi nel 1400 divenne torre di avvistamento ed oggi, molto più bassa che in origine in quanto l’ultimo piano crollò con il terremoto del 1846, è adibita a civile abitazione.

Lungo le mura originariamente vi erano anche delle porte: una detta “Porta del sole” (distrutta nel 1785) si trovava all’inizio di Via delle Mura, nell’angolo sinistro della piazza della chiesa di Sant’Ilario, vicino all’odierna “Torre dell’orologio”, di un’altra detta “Porta a bacìo”, anch’essa scomparsa non conosciamo nemmeno la probabile ubicazione.

Agli inizi del 1200 il castello di Bibbona passò, come libero comune, sotto il dominio della Repubblica di Pisa e secondo una pergamena, conservata nell’Archivio comunale di Volterra, il Vescovo della Diocesi concesse in locazione agli abitanti del borgo, 67 abitazioni, inoltre poderi, boschi, pascoli, vigne ed orti furono affidati a 124 famiglie per un totale di affitto di 6 lire, 11 soldi e 9 denari.

Secondo gli Statuti pisani del tempo, Bibbona già nel 1284, fu sede del Capitano di Giustizia e del Notaio e per tutto il 1300 fu senza dubbio il castello più importante della zona, come lo dimostrano le numerose chiese, pievi e monasteri che le appartennero: Sant’Andrea, San Biagio, San Cerbone, San Cristoforo, San Filippo e Giacomo, Santa Maria del Mansio e Sant’Ilario.

A partire dal 1345 Bibbona fu a capo dei castelli della zona nella rivolta contro la Repubblica di Pisa, ma senza risultato e nel 1397 il territorio era ancora sotto il dominio pisano.

Quando nel 1406, Firenze sottomise Pisa, Bibbona e la famiglia dei Conti Della Gherardesca passarono volontariamente alla Repubblica di Firenze così che fu concesso loro di mantenere la sede del Capitano di Giustizia e del Notaio.

Il dominio fiorentino continuò fino al 1494, quando in seguito alla discesa dei Francesi guidati da Carlo 8°, Pisa si riprese il castello, ma per poco infatti due anni dopo, nel 1496 Firenze ebbe di nuovo il predominio su Bibbona che fu scelta anche come sede del presidio e baluardo per ostacolare i soccorsi a Pisa assediata.

A testimonianza dell’ autonomia di cui Bibbona potè disporre, possiamo ancora leggere i primi Statuti risalenti al 1407 che rimasero in vigore e regolarono la vita della popolazione fino al 1700.

Comunque in quegli anni (fine 1300 e 1400) la zona, per le continue guerre tra pisani e fiorentini, per la minaccia dei pirati e per il diffondersi della malaria, fu molto in declino e le campagne, le pievi ed i monasteri furono abbandonati dalla popolazione che preferì trasferirsi all’interno del castello ed intorno alla chiesa di Sant’Ilario.

 

ULTIMI tre secoli

Le condizioni ambientali e demografiche si mantennero critiche per tutta la prima metà del 1700, quando risultavano reside

nti solo 76 famiglie e in condizioni di estrema povertà; come scrisse il naturalista Targioni Tozzetti nel 1742, l’aria specialmente in estate era “molto cattiva”, non vi erano acque bevibili, perché le cisterne usate in passato erano “guaste”; il castello era “pienissimo di abitazioni” ma per lo più rovinate, le strade molto strette contribuivano alla “cattiva aria”.

I lupi ed i cinghiali continuavano ad essere un pericolo quotidiano per cui la ricompensa per chi li uccideva passò dalle 50 alle 80 lire.

Verso la fine del secolo, i Granduchi con le Riforme Leopoldine vendettero all’asta le terre del castello e gli abitanti che vivevano su queste furono costretti a lasciarle ai nuovi e ricchi proprietari, tra questi emerse la famiglia Gardini che per tutto il 1800 ricoprì gli incarichi amministrativi più importanti del Comune.

Con la nuova distribuzione delle terre suddivise in proprietà private, la resa produttiva, specialmente di grano aumentò molto (8 volte il seme), di conseguenza seguì un aumento sensibile della popolazione che da 658 abitanti, agli inizi del secolo, arrivò a più di 1000 nel 1850; inoltre nella zona, a nord del paese, era attiva una fabbrica di salnitro ed alcune cave di alabastro che rimasero aperte fino agli inizi del 1900.

Nel primo decennio del 1800, Bibbona fu invasa dalle truppe napoleoniche che, per punire il tentativo di resistenza attuato dalla popolazione, dettero fuoco all’archivio comunale distruggendo molti documenti storico-anagrafici della comunità.

Sempre di questo periodo fu la nascita della prima scuola comunale, e la fine della figura del notaio (esistente fin dal 1400), che venne sostituito secondo la legge napoleonica, dal Giudice di pace.

Come scrisse lo stesso Granduca però, le condizioni ambientali nel 1835 non erano molto migliori che in passato, mancava ancora l’acqua, specialmente nei mesi estivi in quanto la cisterna pubblica forniva solo acqua piovana potabile; il borgo era sempre costituito da strade strette e sporche, le case addossate le une alle altre erano poco areate e malsane.

La pastorizia praticata nella zona di Poggio al pruno allevava pecore e capre, inoltre sulle colline venivano coltivati olivi e viti, mentre in pianura il grano e vi pascolavano mandrie di cavalli e mucche.

Il lavoro era svolto prevalentemente dai braccianti, che non avendo terre proprie lavoravano i campi dei grandi proprietari ed erano retribuiti giornalmente con il pane o mensilmente con il grano; in questo modo non solo non circolava denaro, ma la miseria era sempre più grave tanto che alla fine del 1800 cominciò un forte esodo verso i vicini centri in espansione come Cecina e Piombino.

Nel 1873 Bibbona perse anche la sede comunale che fu trasferita nel Municipio di Cecina, località “Fitto di Cecina”, dove al tempo si trovava solo una stazione di posta, ma zona in grande evoluzione ed incremento demografico per la presenza di vie di traffico molto importanti.

Quando poi Cecina fu riconosciuto comune indipendente, anche Bibbona ritornò ad essere comune (1906) ed ambedue appartennero alla Provincia di Pisa fino al 1925, quando passarono a quella di Livorno.

Nella seconda metà del 1900 la popolazione di Bibbona si è stabilizzata intorno ai 2800 abitanti, considerando che il Comune comprende anche gli insediamenti di La California e Marina del Forte, di questi il 25% si dedica ancora all’agricoltura, mentre l’altro 75% lavora nel terziario e specialmente nel settore turistico.

IL FORTE DI BIBBONA

Si tratta di una costruzione che ha in se due tipi di fabbrica di differente struttura: essa comprende infatti un fortilizio a pianta trapezoidale, esternamente ricoperto da mattoni rossi a vista contro cui notiamo bene lo zoccolo e la cordonatura, realizzati in pietra di colore grigio, nonché un secondo blocco costruttivo, questo invece a pianta quadrata, ottenuto tramite la sovrapposizione di tre piani e internamente articolato e ben rivestito come un qualsiasi edificio ad uso abitativo.

La storia

La vicenda storica del Forte di Bibbona è stata ottimamente ricostruita da Daniela Stiaffini, curatrice con Vinicio Bagnoli della scheda ministeriale di catalogo ad esso dedicata. Come deduce dalla documentazione storica rintracciata, la sua costruzione fu provocata dalla necessità di assicurare a quella zona di litorale un’efficace difesa militare contro i pericoli derivanti dalle incursioni piratesche; altrettanto determinante inoltre l’esigenza d’istituire un presidio di controllo utile ad ostacolare il contrabbando, assicurando nel contempo di portare a termine delle funzioni doganali. Se giudicata in relazione ai criteri ispiratori della politica di Pietro Leopoldo, sotto i cui auspici trovò attuazione il progetto di modernizzazione del sistema militare sul lungo litorale toscano, la creazione del Forte si colora di un’ulteriore valenza: nelle intenzioni del sovrano, infatti, la costruzione di nuovi fortilizi avrebbe dovuto determinare la nascita d’insediamenti abitativi ad essi correllati, provocando, come diretta conseguenza, l’attuazione di iniziative finalizzate al risanamento del territorio. Quando è stato riordinato l’archivio storico comunale a Bibbona, sono stati individuati interessanti documenti appartenenti all’Ufficio Sanitario del forte. Cinque “giornali del Servizio Sanitario” dal 1841 al 1858, quattro registri “copia ordini e circolari sanitarie” dal 1832 al 1861 e cinque registri di “Approdi” e “Partenze” di barche pescatrici e bastimenti da trasporto dal 1841 al 1868. La prima serie di documenti, riporta annotazioni giornaliere sul tempo atmosferico, di eventuali avvistamenti all’orizzonte, i turni e i nomi dei componenti la guarnigione di stanza al Forte. La funzione delle guardie del Forte era oltre la vigilanza sanitaria anche di polizia e quindi ricevevano pure segnalazioni di imbarcazioni ricercate per frodi fiscali o sospettate di pirateria. Infine l’ultima serie di documenti, i libri degli approdi, informa sull’attività più ordinaria della guarnigione, ovvero la registrazione degli arrivi, la qualità dei bastimenti, il loro nome e il nome e l’età del capitano, la nazione di appartenenza, il numero delle persone dell’equipaggio… La maggior parte dei carichi e le imbarcazioni, che generalmente giungevano vuote, da Livorno e da Vada, ripartivano dopo aver caricato legname da ardere. In tempi più recenti il Forte è entrato a far parte delle proprietà del Ministero delle Finanze e attualmente ospita la “Pensione Margherita” gestita dalla Diocesi di Volterra.

Alcuni suggerimenti per la ricerca di idee per le vacanze in Toscana.

 

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I cultori dell’italianismo preferiranno cercare alberghi sulla costa Toscana o alberghi in Toscana.

 

Consideriamo tuttavia che Bibbona è situata in Maremma 

( ricordiamo che la Maremma arriva fino a Livorno ) , quindi nel leggere la guida alberghi costa toscana sarà bene dirigersi alla voce vacanze Bibbona e cercare gli alberghi Bibbona o anche ,hotels Bibbona.

 

Dato che ormai il turismo ha consistentemente dimostrato di dirigersi verso soluzioni di tipo residenziale oltrechè alberghiere, residence Bibbona, appartamenti vacanze Bibbona,appartamenti per vacanze Bibbona, vacanze case in affitto sono diventate temi di ricerca frequenti su pubblicazioni guida turismo toscana o guida turismo costa toscana.

 

Anche qui ci rifacciamo a quanto precedentemente detto a proposito di Bibbona, quindi nel consultare le guida alberghi Bibbona o anche soltanto il dove dormire a Bibbona và formulato o digitato le voci residence in Bibbona , appartamenti Bibbona, albergi Bibbona o anche hotel Bibbona.

 

Anche la consultazione di residence sulla Costa Toscana potrebbe venir utile dato che l’argomento è frequentemente imperniato su vacanze appartamenti in affitto , mare vacanze toscana,vacanze sul mare,estate vacanze Toscana.

 

Non si dimentichi neanche la ricerca di camere Bibbona, in effetti stiamo parlando di Toscana Italy, di vacanze appartamento Bibbona, qualcuno più benestante cerca villa Bibbona o anche villa Bibbona per vacanze Bibbona .

 

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Infine, non perché meno importante, occorre ricordarsi dell’ Agriturismo Toscana o degli Agriturismi Toscana.

 

Quindi diamo un’occhiata a agriturismo Bibbona.

 

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Giugno 28, 2021