I Pittori Macchiaioli

Odoardo Borrani
Pascolo a Castiglioncello (1861)
olio su tela, cm 30,5×84
Firmato in basso a sinistra:O. Borrani

Recatosi durante l’estate del 1861 insieme a Sernesi sull’Appennino Pistoiese, Borrani riesce a presentarsi alla Promotrice fiorentina dello stesso anno con opere realizzate in quella località, tanto da essere ascritto da Yorick alla “scuola novella”, alla stessa stregua di Signorini e Cabianca, a loro volta reduci dal soggiorno a La Spezia: “I signori Cabianca, Signorini e Borrani appartengono alla scuola novella che chiamano degli effettisti, ed espongono tre quadri dipinti secondo le loro coscienze” (Yorick 1861, p. 177). La sperimentazione tecnica avviata da Borrani durante il soggiorno a S. Marcello Pistoiese viene approfondita al cospetto degli scenari di Castiglioncello, con esiti di luminosità affini a quelli di Sernesi, secondo il noto paragone instaurato da Cecchi nel 1926 tra La Punta del Romito veduta da Castiglioncello di Sernesi (1864) e Vada vista da Castiglioncello di Borrani (1864), ritenute dal critico opera di una stessa mano. In questo Pascolo l’artista manifesta d’altra parte un’impronta assolutamente individuale, che è poi la stessa di Orto a Castiglioncello (1862-1864) e Casa e marina a Castiglioncello (1862-1864), secondo cui all’indagine della muta armonia della natura costiera si coniuga l’interesse per la vita dei campi, restituita attraverso l’epopea di contadini delineati con eleganza disegnativa di impostazione antica. È proprio nella definizione di gruppi compositivi, di solito contadini circondati da animali, che si coglie dell’artista quella sapienza disegnativa, acquisita in seguito allo studio degli affreschi di Paolo Uccello nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella e di Giotto nella chiesa di Santa Croce (Cecioni 1905, p, 339), così come quella solidità plastica, coerente con le ricerche chiaroscurali tipiche del “suo eccessivo fanatismo per l’arte nuova” (ivi, p. 338).

Giovanni Costa
Una sera in Maremma 1855
olio su tavola, cm 10,6×27,5
Firmato e datato sul verso dall’artista:
Una sera in Maremma Giovanni Costa 1855

Sulla base dell’affinità di quest’opera con il dipinto conservato presso Castle Howard, esposto alla New Gallery nel 1890 con il titolo Bocca d’Arno (1889), Nicholls avanza già nel 1982 l’ipotesi di un’ambientazione sul litorale toscano, finchè, a seguito di uno studio ulteriore dell’architettura raffigurata sullo sfondo, lo stesso Nicholls conclude trattarsi della località costiera presso il fortino lorenese di Bocca d’Arno, dove, tra l’altro, l’artista ricorda nelle sue memorie di essersi intrattenuto ospite presso i doganieri intorno al 1856. L’impegno di Nino Costa a Marina di Pisa si sostanzia di una ricerca cromatica e atmosferica, tesa ad accentuare la nota suggestiva di tale località, come in questo effetto di tramonto, in cui l’intonazione del cielo ripete la gamma dorata della vegetazione costiera, se pure in una gradazione più luminosa, a conferma di quanto l’artista si concentrasse su questioni specificamente tecniche e ne discutesse con gli allievi che lo assistevano nei suoi itinerari. L’influenza dell’artista romano in Toscana, identificata da Cecioni come “la pagina più bella e più importante della vita artistica del Costa” (Cecioni 1905, p. 327) viene a coincidere con indicazioni di carattere stilistico oltre che espressivo, secondo quanto riferisce più tardi Antonio Discovolo: “A un tratto si fermò e con lo sguardo rivolto verso al cielo, disse: “Vedete lassù, sotto quell’azzurro, c’è il rosso, come c’è il sangue sotto la nostra pelle. Ricordatevene quando dipingete. La preparazione di un dipinto è di grande importanza” (Discovolo 1983, pp. 63-64).

Giuseppe Abbati
La casa di Diego Martelli a Castiglioncello (1862)
olio su tela, cm 21,3×50
Firmato in basso a sinistra: G. Abbati

L’indagine luminosa tesa a definire la tinta caratteristica dei caseggiati toscani sottoposta alla variazione dell’ora e della stagione, secondo le fasi individuate nelle diverse versioni di Stradina al sole, si dispiega in questo dipinto con un respiro prospettico di più ampia estensione, così come in altre opere realizzate a Castiglioncello, tra cui Veduta di Castiglioncello, anch’essa raffigurante la proprietà Martelli. La necessità di affermare una fisionomia originale in occasione di un evento favorevole alla propria ispirazione quale si delineava il soggiorno lungo la costa tirrenica, coincide per Abbati con la ricerca di una combinazione di toni di impronta personale, secondo la testimonianza di Martelli: “Ma siccome la tavolozza ci dà tante infinite combinazioni da equivalere le infinite combinazioni che hanno tutte le cose sottoposte alla luce in natura, egli tentava in un tono più basso del vero di dare tutta intera la tonalità del vero” (Martelli, post 1870). Del resto la mutevolezza delle condizioni luminose in riva al mare, così come la varietà della fisionomia della costa tirrenica, dovette sollecitare Abbati verso esiti definitivi, visto che nell’ultima lettera spedita dall’artista all’amico critico d’arte, egli sosteneva che “si sentiva giunto a tale da chiamarsi contento dell’opera sua” (Martelli 1877).

Spiaggia a Viareggio 1865
olio su tela, cm 40×77
Firmato e datato in basso a sinistra:V. Cabianca 1865

La riflessione condotta al fianco di Telemaco Signorini e Cristiano Banti durante il soggiorno a La Spezia del 1860, sostanziata di “lavori e tentativi arditissimi”, coincidenti con “un vero progresso” in fatto di resa dei fenomeni luminosi (Cecioni 1905, pp. 335-336), prosegue per Cabianca negli anni successivi, nell’ambito di una serie di vedute ambientate lungo la costa del Tirreno, dalla Versilia a La Spezia, in coincidenza con le soste privilegiate al cospetto del mare, dove l’artista riesce ad approfondire “gli effetti di sole” (ivi, p. 335) con animo di militante: “Nei suoi lavori, specie nei primi, la ricerca del chiaro-scuro e dei rapporti di colore è certo ardita e più che ardita prepotente” (ivi, p. 332). Il rimpianto di Cecioni circa la tonalità poco naturale della tavolozza di Cabianca, così come la condanna di Signorini riguardo agli eccessi cromatici di Bagnanti fra gli scogli, delineano le coordinate di una condotta tecnica originale al cospetto della marina, consistente in un’audacia cromatica e luminosa non del tutto in sintonia con quell’indagine sul rapporto dei toni che si andava perfezionando nell’ambito dei macchiaioli. Occorre tuttavia precisare la distanza tra l’impronta sperimentale di Bagnanti fra gli scogli, dove Signorini depreca la stesura di “un cielo così peso e mancante d’azoto” e il timbro lirico di questa marina, evidente nella delicata modulazione della tonalità viola dei profili montuosi che sfuma con naturale accordo nella distesa del cielo.

Giovanni Fattori
La libecciata (1880-1885)
olio su tavola, cm 19,2×32,2
Firmato in basso a sinistra:G. Fattori
Galleria d’arte moderna di Palazzo
Pitti, Firenze

Il sentimento della stagione e del luogo improntano quest’opera fino a farne una delle più distinte testimonianze del percorso stilistico di Fattori, avviato nel Sessanta con Criniere al vento (1867) e giunto a maturazione negli anni Ottanta, coincidente con l’evoluzione dalla veduta verista al paesaggio-stato d’animo. La capacità di Fattori di finalizzare le sperimentazioni tecniche alla resa espressiva del motivo si intensifica nella produzione di marine degli anni Ottanta, soprattutto nelle due versioni della Libecciata, dove la compattezza degli intarsi tonali cede il posto ad una stesura vibrata a tal punto da far presentire certi esiti a cavallo del secolo di vera e propria marina-stato d’animo, quale Tramonto sul mare (1899-1900). Il compimento delle ricerche avviate da Fattori sulla scia della lezione di Nino Costa, a partire da Le macchiaiole, esposte a Firenze nel 1867 ed apprezzate da Signorini nei termini di evidenza dell'”impressione […] della stagione” e del “carattere del paese”, appare ancora più evidente al cospetto della marina, dove l’individuazione della stagione e della tinta locale si congiunge con questioni atmosferiche di più ampia portata, tanto da coinvolgere uno dei più audaci protagonisti della tecnica divisionista, ovvero Lloyd, che nel 1929 confessa l’estasi provata di fronte al dipinto: “Una volta io ero chino per terra in ammirazione dinanzi a quella tela rappresentante un mare sconvolto dal libeccio con delle tamerici rabbuffate dal vento. Rapito dalla bellezza ero come in estasi” (Lloyd 1929, pp. 20-21).

Giovanni Fattori
Lungomare di Antignano 1894
olio su tela, cm 60×100
Firmato e datato in basso a destra:Gio. Fattori 1894
Museo G. Fattori, Comune di Livorno

Risale al 1894 una lettera di Fattori ad Adele Galeotti (Livorno, 31 luglio 1894), dove l’artista ammette ritmi di esecuzione piuttosto allentati, tranne una marina di “1 m. e circa 60 cm”, ovvero questo Lungomare, di cui risulta con certezza l’ambientazione ad Antignano, presso la villa della “Signorina Civelli”: “Io non fo quasi nulla per ora – cioè nulla no – fo niente meno che un quadro di 1 m. e 60 cm – dal vero – Terra e mare – lo vedrà – … ecco perché – la Signorina Civelli che ha all’Antignano (luogo di bagni distante da qui 4 miglia) una splendida villa, e faccio il pandant come si faceva con lei quando si andava sul lago Trasimeno”. L’indagine delle variazioni tonali si intensifica al cospetto della marina livornese, sempre però sulla base del credo realista espresso da Fattori nel 1891, secondo cui non occorre alterare la gradazione luminosa in vista di effetti spettacolari: “le manifestazioni della natura sono immense, sono grandi, non sempre si presenta viva di luce, non sempre si presenta triste e buia” (Firenze, febbraio 1891). Se in quest’opera l’artista ricerca un effetto di pieno sole, egli si impegna a mantenere una colorazione naturale, secondo i dettami ribaditi agli allievi in occasione della polemica relativa alle sperimentazioni luminose di Muller. La condanna di Fattori infatti non investe il “tentativo di luce”, del resto da lui stesso perseguito con costanza e spirito innovativo, quanto il rischio insito nell’accademia mulleriana di un'”arte senza forma né concetto” e della “dimenticanza affatto di rapporto di colore e di chiaro scuro” (ivi).

Giovanni Fattori
Pescatori all’Antignano (1895)
olio su tela, cm 44×95
Firmato in basso a sinistra:Gio Fattori

A partire dagli anni Novanta Fattori approfondisce la consapevolezza della propria individualità artistica, anche al cospetto delle sperimentazioni degli allievi, tanto che in una lettera a Nomellini del 18 gennaio 1891, riferisce il generale consenso ottenuto dalle sue opere esposte alla Promotrice fiorentina del 1890-1891: “Mi hanno detto e scritto che le mie opere fanno buona impressione, soprattutto è molto notata la mia individualità”. L’impegno di Fattori si dirige in questa marina verso la trascrizione sintetica di uno dei tratti più pittoreschi del litorale livornese, dove la struttura cristallografica della scogliera si snoda lungo un percorso indagato con scrupolosa dedizione, tanto da costituire motivo di ispirazione per altre vedute analoghe. In questa occasione l’artista consegue una compiutezza tale da assemblare in una singola composizione varie fasi visive, sviluppate poi singolarmente in tutta una serie di varianti sul motivo, quali Marina livornese (Malesci 1961, n. 538), Barche e pescatori (ivi, n. 645) e Sulla spiaggia (ivi, n. 752). In particolare la definizione geometrica delle sagome taglienti degli scogli lambiti dalle acque si ritrova come motivo a sè stante nella Marina livornese, mentre l’abbinamento, scandito da una metrica rigorosa, tra le sagome dei pescatori e quelle degli scafi, compare con variato intento compositivo nelle altre due marine. Al cospetto dello scenario costiero l’artista non intende alterare la propria condotta luminosa al di fuori di un normale tracciato di corretti rapporti chiaroscurali, ma preferisce individuare la “forma”, il “linguaggio” e il “sentimento” della natura, di contro a quella esasperazione tecnica perseguita a quest’epoca da Muller, ritenuta da Fattori come la negazione dell’individualità artistica: “fattura nulla – disegno niente – soggetto sentimento negativo” (Fattori, Firenze 14 marzo 1891).

Telemaco Signorini
Vegetazione a Riomaggiore (1894)
olio su tela, cm 58×90
Firmato in basso a destra:T. Signorini

Nel corso degli anni Novanta l’artista sembra concentrarsi sulla questione della marina in termini sistematici, visto che nel 1895 decide addirittura di stendere un tracciato delle proprie esperienze artistiche lungo la costa ligure, come testimoniano Tetti a Riomaggiore (1892-1894) e Dal santuario di Riomaggiore (1892-1894). L’attrazione per la fisionomia pittoresca di tale costa si rinviene soprattutto nella ricerca di tagli prospettici sempre più audaci, che sollecitano Signorini ad una disposizione emotiva di sempre maggiore enfasi atmosferica. In tale marina si rileva la comparsa di un’audace consapevolezza luminosa, in quanto la ricerca di una definizione analitica del fogliame in primo piano si accompagna al tentativo di allontanamento prospettico dell’orizzonte, tramite la gradazione delle tonalità della vegetazione, schiarite progressivamente fino al confine con la superficie marina, la cui trasparenza atmosferica si raccorda in termini naturali con il cielo.

Pietro Senno
Il Golfo di La Spezia (1901)
olio su tela, cm 85×150
Pinacoteca Comunale Foresiana, Portoferraio

Presente alla Promotrice fiorentina del 1862 con una marina elbana, Motivo preso all’Isola d’Elba, Pietro Senno si dedica alla veduta costiera approfondendo l’indagine atmosferica nel corso dei suoi itinerari di studio nei pressi di località pittoresche, tra cui, oltre all’Isola d’Elba, il Golfo di La Spezia, Portovenere, la Maremma, Tombolo, l’Argentario. La maniera iniziale dell’artista, lodata da Signorini nel 1867 nei termini di una “fattura larga” che “ritiene potentemente le impressioni del vero”, indulge a tonalità cupe ed effetti scenografici, sempre a detta del critico, che lo sprona a far “meno pesante e nero” e ad avere “una mano meno facile” (Signorini 1867). L’impronta scenografica si accompagna in questa veduta ad una maggiore sensibilità atmosferica, secondo quella tendenza notata dallo stesso Signorini negli anni Ottanta ad una “facilità prodigiosa di ritenere impressioni che hanno sempre una durata molto breve” (Signorini 1884), proseguita fino alle soglie del Novecento. La specificità del percorso evolutivo di Senno viene ricordata da Mario Foresi, a partire dal distacco dal “convenzionalismo accademico” dei Markò e di D’Azeglio, fino alle ultime marine, dove egli si volge “verso il verismo, verso la fedele rappresentazione di ciò che si offriva al suo sguardo, sempre più soffuso della luce della sua propria fantasia e adombrato da una singolare velatura d’idealità” (Foresi 1904-1905, p. 236). Il “confine oraziano” mantenuto dall’artista tra l’accettazione delle conquiste macchiaiole e la condotta accademica, gli consente di apportare al genere della marina una nota atmosferica di maggiore verisimiglianza, senza rinunciare al registro scenografico, tanto che i suoi ultimi “Thalassica” riscuotono l’apprezzamento della critica novecentesca, e il suo Libeccio, oltre all’ammirazione di Vittorio Corcos, ottiene il premio dalla giuria della mostra d’Arte Moderna di Firenze del 1902.

Tito Conti
Canale, Viareggio 1883
olio su tavola, cm 14×24
Firmato in basso a sinistra:Tito Conti;
datato sul retro: Fiera di beneficienza,
Viareggio. 15 Agosto 1883

Dedito fino agli anni Settanta ad una produzione di genere assai vicina a quella di Francesco Vinea, realizzata con “una cura ed amore più unico che raro” (Carocci 1875), Conti si risolve, nel corso degli anni Ottanta, in una condotta pittorica più personale, in linea con le sperimentazioni tecniche della scuola toscana. La verve sma gliante di questa marina versiliese rende atto della volontà dell’artista di rivedere i dettami di una maniera aggraziata quanto accademica alla luce di un impegno tecnico, che, senza dimenticare la base disegnativa, mostri tutta la bravura di un moderno colorista.

Tito Conti
La Darsena. Viareggio(1885)
olio su cartone, cm 14,5×24
Firmato in basso a destra: Tito Conti

Incluso da Signorini tra gli “artisti d’ingegno” insieme a Francesco Vinea, Bartolomeo Giuliano, Pietro Senno e Raimondi (Signorini 1867), Tito Conti deve ascriversi a quella schiera di artisti toscani impegnati nell’aggiornamento della pittura di genere tramite l’acquisizione dei principi tecnici affermatisi nel corso degli anni Ottanta. Una delle conseguenze di tale aggiornamento consiste nella concentrazione dell’artista su quei motivi che più si prestavano all’applicazione di una nuova maniera luminosa, in sintonia con la condotta di altri, quali Vinea e Faldi, dediti negli stessi anni ad uno studio indefesso dal vero. Ed è proprio al cospetto della darsena e delle spiagge versiliesi che Conti riesce a modificare il proprio linguaggio, perfezionando la scienza dei rapporti tonali e attingendo ad un repertorio tematico stimolante per brio ed attualità.

Ugo Manaresi
L’Ardenza (1892)
olio su tela, cm 77×200
Dedicato in basso a sinistra:A E. Virgilio Livorno 18(?)

Tale marina costituisce una testimonianza esemplare di quella varietà di ispirazione nell’ambito della marina, non disgiunta da una “lodevole” condotta tonale, riconosciuta da Signorini a Manaresi fin dal 1879. Oltre al genere allegorico del dipinto L’uomo e il creato – esposto alla Promotrice fiorentina del 1880 – e quello romantico dei naufragi alla Salvator Rosa, l’artista coltiva infatti un registro di impronta verista, a partire dalla Promotrice fiorentina del 1881, alla quale presenta In darsena nuova (Marina), fino all’Esposizione di Livorno del 1886, quando riesce ad imporsi in qualità di artista specializzato in marine, sempre con due motivi della darsena livornese. Tra la fine degli Ottanta e l’inizio degli anni Novanta Manaresi appare dunque impegnato nell’assestamento della propria visione dal vero al cospetto della costa livornese, fino a maturare un certo distacco dal repertorio convenzionale del genere marinaresco e ad approntare una stesura pittorica di indirizzo più personale. Tale marina, di concezione affine a quella di Il Boccale. Livorno (1889) – riprodotto da Mazzanti nel 1941 – sembra doversi ascrivere a quest’ultima fase, in quanto vi si può riconoscere l’approfondimento di uno studio dal vero sul litorale dell’Ardenza, realizzato con una tecnica luminosa così sapiente e con una stesura così individuale, da risultare attuale ancora negli anni Venti all’occhio di Giulio Cesare Vinzio, anch’egli specializzato in marine, oltre che amico ed ammiratore dell’artista: “la pennellata è tagliente, nervosa, senza pentimenti o preoccupazioni di tecnica o di moda; è chiara, ferma e sicura” (Vinzio 1927-1928, p. 46). La sempre maggiore dedizione allo studio dal vero consente all’artista di alternare nell’ambito della propria attività una produzione di varia destinazione ufficiale, del genere di alcuni naufragi, ad una di impronta più intima – come conferma questa marina – che è poi quella lasciata in eredità alle generazioni future, secondo la testimonianza di Vinzio: “Nelle tavolette, negli studi e negli appunti, che per sé dipingeva, fu efficace assai” (ivi

Ugo Manaresi
Bagnanti a Quercianella 1894
olio su tela, cm 97×44
Firmato e datato in basso a destra:U. Manaresi 1894

L’opera deve ricollegarsi senz’altro ad un dipinto citato da Gino Mazzanti sulla “Rivista di Livorno” del 1941: “in un bozzetto trattato con pennellata larga e sugosa, che ha per titolo Bagnanti, le scogliere fosche contro la luce del tramonto, le donne nude dalle forme di sirena e le acque iridescenti danno vita ad una strana composizione fra mito e realtà” (Mazzanti 1941, p. 90). L’inclinazione di Manaresi al registro allegorico è attestata fino dal 1880, anno in cui egli si presenta alla Promotrice fiorentina con L’uomo e il creato, ma prosegue nel corso degli anni successivi, come conferma Mazzanti nell’accenno a “tentativi di raffigurazioni simboliche e chimeriche e motivi di vaghe composizioni idilliche e pastorali” (ivi, p. 79). L’impegno disegnativo dell’artista nella definizione scultorea dei corpi femminili, si accompagna in questa marina ad una rinnovata consapevolezza luminosa, rispetto alla serie dei Naufragi del primo periodo, soprattutto riguardo alla resa illusionistica della bruna scogliera sull’avanti della composizione, la cui tonalità cupa risalta a contrasto con la superficie marina, animata quest’ultima da suggestive trasparenze. Il ricorso ad una ricercata eleganza del tratto disegnativo, come alla delicata orchestrazione di tonalità smaltate, accresce l’effetto di sospensione della scena, consentendo di ascrivere quest’opera al filone delle “marine fra sogno e realtà, a somiglianza di quelle di Claudio di Lorena” (ibidem).

Adolfo Tommasi
La diligenza di Castiglioncello (1880)
olio su tela, m 32×59
Firmato in basso a destra: Adolfo Tommasi

Alla data del 1880 Adolfo Tommasi mostra di aver già compiuto una prima fondamentale riflessione sulle problematiche atmosferiche congiunte alla veduta dal vero. Tale riflessione, emersa nell’episodio ufficiale di Dopo la brina (1880), viene anti cipata dagli studi esposti alla Promotrice fiorentina dell’anno precedente, notati favorevolmente da Signorini, in particolare un “bozzettino…molto, ma molto pieno di luce, di rilievo, d’intonazione” e Autunno, dove “il cielo ha una luminosa profondità” (Signorini 1879). La maturazione della condotta luminosa consente all’artista di misurarsi con il registro più complesso della veduta costiera, nell’ambito della quale il motivo del litorale tirrenico visto in scorcio, oltre a costituire un banco di prova per altri artisti toscani, prima di tutti Luigi Gioli, impegna a tal punto Adolfo, da vederlo intento allo stesso motivo, in termini ancora più programmatici, in Littorale toscano, esposto a Firenze nel 1887. In quest’occasione l’artista si propone di animare la strada litoranea con l’introduzione di un motivo pittoresco, quello della carrozza, che contribuisce al fascino cromatico della scena, oltre che alla misurazione del succedersi dei piani in profondità e quindi alla suggestione dell’effetto prospettico.

Vittorio Corcos
Marina (1895-1900)
olio su tela, cm 37×52
Firmato in basso a destra: V. Corcos

Affine per il taglio compositivo alle marine di Signorini a Riomaggiore, quest’opera dimostra la predilezione dell’artista per una situazione di maggior impatto emotivo rispetto all’abituale visione serena del mar Tirreno, tipica di opere quali Lettura sul mare (1910) e La Coccolì (1915). L’artista infatti si concentra nella resa di una marina avanti la burrasca di cui esalta la cupezza dell’impressione, oscurando il tono della vegetazione in primo piano, smorzando la tonalità della distesa marina e offuscando la trasparenza del cielo con un crescendo incalzante di tinte grigie. La resa di questi effetti collocano Corcos nell’ambito della schiera di artisti toscani che, nel tentativo di restituire l’emozione ricevuta, contribuiscono all’evoluzione della marina nei termini di paesaggio stato-d’animo, cui si accompagna una costante osservazione del vero che impegna l’artista sul piano della resa della tinta locale e del caratteristico profilo della marina.

Vittorio Corcos
Ada in controluce 1905
olio su tela, cm 56×46
Dedicato, datato e firmato in basso a destra:Alla mia cara Ada Maggio 1905 V. Corcos;
siglato in basso a sinistra V. C.

Battezzato da Ugo Matini “il simpatico pittore delle grazie muliebri”, Vittorio Corcos conferisce a quest’opera la suggestione di una silouhette ammorbidita dalle vibrazioni luminose che filtrano attraverso la soglia di casa diffondendo in tutta la veduta una sospensione, che è di per sé espressione di uno stato d’animo. Già anni prima, con Fiori di siepe (1891), egli aveva sondato l’effetto luminoso del controluce sulla soglia, mettendo in risalto l’intento ritrattistico; intento qui mitigato dallo squarcio della marina, per cui più che a un ritratto, si pensa, ad una “finestra aperta” (Tarchiani, p. 261). Nell’ambito di un calibratissimo avvicendarsi di controluce sull’avanti della composizione, l’unica nota cromatica di inalterabile compattezza risulta infatti lo smalto luminoso delineante in lontananza la distesa del mare, estremo gradiente prospettico della veduta.

Vittorio Corcos
Castiglioncello 1910
olio su tela, cm 72×133
Siglato e datato in basso a destra:V. C. Castiglioncello 1910

Già dal 1890 Corcos si era imposto all’attenzione della critica in qualità di pittore di marine, quando Fonseca parla di lui nei termini di “delicatissimo artista ch’ebbe fin dai suoi primi lavori una predilezione per il mare, ma sempre per un mare calmo al pari della pittura sua”. In particolare l’accenno di Fonseca ad una marina ligure, Sulla spiaggia, denota la presenza anche in Corcos, alla stessa stregua che nei Gioli e nei Tommasi, di quella volontà di aggiornamento tecnico già a partire dagli anni Novanta attraverso nuovi itinerari costieri, dove rinvenire sempre più pittoreschi scenari per i propri motivi. Del resto l’ambientazione della figura femminile al cospetto della marina diventa per Corcos, così come per altri artisti toscani dediti allo studio dell’eleganza femminile, quali Arturo Faldi e Italo Nunes-Vais, una possibilità di animare la condotta essenzialmente disegnativa con una rinnovata sensibilità atmosferica. L’identità di ispirazione di quest’opera con una marina di Faldi, esposta alla Promotrice fiorentina del 1907-1908, In attesa di una visita desiderata, oltre che con una marina di Nunes-Vais ambientata in Versilia tra il 1905 e il 1910, Scrutando l’orizzonte, consente di ricostruire un tessuto di relazioni tra artisti toscani, i quali, nel corso del primo decennio del secolo, proseguono l’aggiornamento del proprio linguaggio luminoso e perciò indagano con maggiore scrupolo il panorama costiero, tanto che Corcos si trattiene sempre più di frequente sul litorale livornese, mentre Faldi e Nunes-Vais si trasferiscono sul litorale del Tirreno, il primo a Portovenere, il secondo a Forte dei Marmi.

Vittorio Corcos
La Coccolì 1915
olio su tela, cm 120×125
Firmato e annotato in basso a sinistra:V. Corcos LA COCCOLI’ nel 1915

La propensione monumentale dell’artista, tante volte manifestata in ambito ritrattistico, emerge anche al cospetto del mare, come era stato preannunciato da Contessa Frankestein Soderini (1889) e da In lettura sul mare (1910). Ne deriva un’analoga condotta pittorica, improntata al nitore plastico e alla brillantezza dei toni, mentre il contorno disegnativo torna a restituire alla figura umana quell’incisività tipica dei ritratti femminili dell’artista. Più che nelle precedenti marine, l’artista qui si concentra nell’esatta restituzione ottica dei riflessi della distesa marina, che si colora di notazioni luminose, tanto da far presentire l’eco delle ricerche tecniche ormai da tempo sondate dai colleghi toscani.

Alfredo Muller
I Bagni Pancaldi a Livorno 1890
olio su tela, cm 73×53,5
Firmato e datato in basso a destra:Alfredo Muller. Livorno/2 Aprile 1890

L’aggiornamento tecnico di Muller in merito al “nuovo verbo dell’impressionismo luminista monettiano” (Tinti 1921, pp. 156-157) risulta compiuto, stando alla testimonianza di Mario Tinti, alla data del 1890, proprio con questa marina livornese, divenuta immediatamente “un libro di testo” per molti pittori livornesi. A conferma di quali suggestioni visive dovesse offrire il luminoso panorama costiero livornese per l’applicazione della “nuova tecnica a piccole pennellate, corpose, divise e sfarfallanti” l’artista, reduce da Parigi, si presenta alla Promotrice fiorentina del 1890-1891, proprio con una Marina (vibrazioni in bianco, giallo, azzurro).

Giovanni Bartolena
Marina a Castiglioncello (1925-1930)
olio su tavola, cm 26×37,8
Firmato in basso a destra: Giò Bartolena

In occasione della mostra alla Galleria “L’Esame” di Milano del 1926-1927, Renzo Boccardi definisce Bartolena “innamorato della sua città […], pago del suo mare e del suo cielo”, distinguendo tra “disegno solido e masse piene, l’uno e le altre fatte di colore” delle nature morte e l’affiorare del macchiaiolismo nell'”egloga frizzante” dei paesaggi. Degli undici dipinti esposti, ben cinque erano marine, ambientate tra Chioma e Quercianella, a conferma dell’ispirazione costiera della sua pittura. Definito da Somarè “pittore per diritto di natura” (Somarè 1927) e ricondotto da Giolli “in quell’irrigidirsi e semplificarsi di spirito che già conosciamo da Fattori a Mario Puccini” (Giolli 1927), Bartolena dimostra, soprattutto nelle marine, di collocarsi insieme a Lloyd, Ghiglia e Puccini in quel filone di ritorno alla tradizione, nell’ambito di un recupero della maniera fattoriana filtrata attraverso la meditazione sui primitivi.

Giugno 23, 2021